Il Portale - Cattedrale di Bisceglie

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La Cattedrale
il Portale

Al di sopra della porta maggiore, all’esterno, ammiriamo la ricca cornice del portale dove è raffigurato l’universo, disposto ordinatamente in quattro fasce, secondo una suddivisione ricavata dalla Bibbia: la ‘lieta novella’ è rivolta a tutto il creato.

Andremo con ordine anche noi, partendo dall’alto, dove si inarca un bell’intreccio di foglie e di giunchi, una maniera medievale per indicare l’acqua; si tratta, in questo caso, delle acque al di sopra del firmamento, quelle che, nel secondo giorno della Creazione (Gn 1,6-8), Dio separò dalle acque inferiori, destinate a formare i mari, i laghi e i fiumi: “Dio disse: <>. Dio fece il firmamento e separò le acque, che sono sotto il firmamento, dalle acque, che sono sopra il firmamento. E così avvenne. Dio chiamò il firmamento cielo. E fu sera e fu mattina: secondo giorno”.

Le acque al di sopra del firmamento sono quelle pronte a cadere in forma di pioggia e neve e la volta celeste funziona come un’immensa conca rovesciata e bucherellata, per consentire, al momento opportuno e quando Dio vuole, il passaggio delle acque superiori.

Alla volta, solida, del cielo, sono affisse le costellazioni del firmamento, che il sole via via attraversa durante il suo cammino, scandendo il tempo dell’anno, il percorso dei mesi, l’alternanza delle stagioni: è il tempo degli uomini, quello che regola il loro lavoro ed il succedersi delle diverse attività, strettamente collegate ai ritmi della natura: stiamo parlando della fascia successiva, nella cornice arcuata del nostro portale.

Alla nostra destra c’è il sole, a metà, perché sia chiaro che sta emergendo dalla linea d’orizzonte per procedere nella via segnata nel cielo per lui (fino a Copernico e Galileo, si è creduto che fosse il sole a girare intorno a noi), composta da dodici occhielli, formati da due nastri che continuamente si intrecciano, i dodici mesi dell’anno.

Lo schema dell’universo, tracciato sul portale della cattedrale biscegliese, è lo stesso che troviamo su un magnifico ed assai elaborato portale romanico, in Francia, nella chiesa della Maddalena a Vezeley, (il mezzo sole a destra, le foglie d’acqua dell’ordine superiore, la serie completa dei mesi e dei segni zodiacali, nella quale si intromettono, in corrispondenza di una forte cesura centrale, che ospita la testa del Cristo sottostante, tre cerchi in più. Nella lunetta, circondata dal creato, Cristo in maestà affida agli Apostoli, tutti, il compito di andare per il mondo a predicare il Vangelo).


Il nostro portale è più sintetico, segnala soltanto quattro costellazioni, selezionate e disposte sulle diagonali del semicerchio, perché sono quelle corrispondenti ai momenti più importanti dell’anno solare, in quanto indicano il trapasso delle stagioni: i solstizi e gli equinozi.

Esse sono rappresentate dai segni zodiacali di origine araba che ancora adoperiamo, tradotti in esseri mostruosi e fantastici, come si usava fare per le lettere capitali delle opere miniate: in basso a destra il cancro (solstizio d’estate), all’opposto il capricorno (solstizio d’inverno), situato in una casella più grande, perché corrispondente alla Natività del Signore; ai vertici della diagonale d’intersezione, troviamo, in alto, il segno arabo della bilancia (equinozio d’autunno) e, all’opposto, quello dell’ariete (equinozio di primavera), una ipsilon trasformata anch’essa in un mostro, tirato verso il basso da una figuretta maschile che trascina con sé l’anno intero e che sembra essere, nonostante le sbrecciature, l’unica raffigurazione di un mese ben preciso, in tutto l’arco temporale: marzo.

Marzo era il primo mese dell’anno nel calendario romano, precedente la riforma di Giulio Cesare, il quale, seguendo il calendario egizio, avrebbe fatto cominciare l’anno a gennaio. Traccia di quell’antica consuetudine permane nei nomi dei nostri ultimi quattro mesi (da settembre a dicembre) e nella stessa serie dei segni zodiacali che comincia con l’ariete il 21 marzo inizio anche dell’equinozio di primavera.

Nel medioevo, marzo era raffigurato come un giovane nudo che si cava una spina dal piede, un cavaspina, appunto, e così lo troviamo nella sequenza dei mesi, illustrata nel mosaico pavimentale del duomo di Otranto, realizzato più o meno nello stesso periodo del nostro portale. La figura del cavaspina si ispirava ad un’antica statua di Priapo, dio della vegetazione e della fecondità, ed era dunque adattissima ad indicare l’inizio della primavera ed il risveglio della natura.

Contando gli occhielli, ci accorgiamo che, come a Vezeley, ce ne sono tre in più, proprio in cima, campiti da un’aquila (signora dei cieli e sacra alle divinità maggiori maschili, Zeus, Giove), da un uomo che porta un pesce sulle spalle (il pesce era stato uno dei primi simboli di Cristo, perché il suo nome, in greco, era un acrostico della definizione: Gesù Cristo Figlio di Dio Salvatore) e da una bella foglia mossa dal vento (perché lo Spirito ‘soffia dove vuole’): è un modo, estremamente decorativo, per dire che Dio, grazie alla sua forma trinitaria ed alla seconda persona, il Figlio, è entrato, incarnandosi, nel tempo umano, ha condiviso la storia degli uomini salvandoli con il suo amore.

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